
Intervista a Maria Grazia Gagliardi,
autrice del romanzo “La sindrome di Gaza” – Astarte edizioni – 2025
In anteprima vi segnaliamo l'uscita del romanzo “La sindrome di Gaza” di Maria Grazia Gagliardi, scrittrice veneziana, a cui abbiamo rivolto alcune domande sul suo nuovo romanzo che sarà disponibile dal 24 aprile.
- Maria Grazia, che cos’è la sindrome di gaza?
“Sindrome di Gaza” è un’espressione coniata dalla giornalista israeliana Amira Hass nel 2009. La giornalista, mentre si aggira in visita nei musei di New York si rende conto che tutti i suoi pensieri la riportano lì, a Gaza, a migliaia di chilometri di distanza, in quel luogo che è paradigma dell’ingiustizia del mondo. La pena per le sofferenze di Gaza diviene il centro del suo universo. Penso che in questi mesi siamo in molti a patire la sindrome di Gaza. Certamente ne soffrono i due protagonisti del mio romanzo.
- Chi sono i due protagonisti? Come si chiamano, cosa fanno? Possiamo anticipare un po’ la trama?
A Gaza non ci sono mai stata, dovevo andarci nel 2020 ma, come sappiamo, è scoppiata la pandemia. Perciò la storia non si svolge a Gaza, ma qui, da noi, in una città che sebbene non sia mai nominata, si riconosce come Venezia. Il punto di vista è la disillusione di un abitante del nostro grasso e ricco mondo, Amelio, che segue la guerra attraverso i giornali e la televisione (allora ancora non c’erano i social), tenendo il conto di morti e feriti. Insomma, Amelio rappresenta un poco tutti noi, che assistiamo impotenti all’orrore e ogni giorno ci domandiamo cosa fare. Molti si girano dall’altra parte, altri negano l’evidenza – se non vedo non sono tenuto a prendere posizione – altri ancora si impegnano, altri invece si deprimono e si arrendono all’orrore. Vorrei che il lettore si interrogasse su sé stesso. Qual è la mia posizione? Il silenzio è complicità. Questo è il nucleo del romanzo, ma in realtà succedono molte altre cose. Per esempio, Amelio, che di mestiere elabora statistiche, è anche un incurabile collezionatore di donne, tutte catalogate su di un infantile quadernetto, finché non incontra Elena, donna dall’intensa e coraggiosa sessualità.
- Ho letto delle suggestive scene di sesso nel tuo romanzo, Elena e Amelio si danno da fare in questo senso…
Hai ragione, ho accentuato questo aspetto, quello della sessualità, perché fa da contraltare al clima di morte e distruzione che sprigiona dalla guerra. I protagonisti vivono un’appassionata storia d’amore, sono ricchi, giovani e felici, ma non possono ignorare il grido di dolore che sale dalla terra. Elena è molto più determinata e combattiva, mentre Amelio è meno cosciente del suo animo. Amelio soffre di bruxismo, ovverosia digrigna inconsapevolmente i denti: piuttosto che affrontare i conflitti si rode e corrode. Il sesso può esercitare una forza liberatoria per l’individuo che sia capace di viverlo appieno.
- In che modo hai gestito l'intreccio tra la storia d'amore e la guerra?
Forse questa è stata la parte più difficile del romanzo: tenere insieme l'offesa, la violenza e l'impotenza che ci causa anche il solo assistere all'orrore della guerra con l'innamoramento, il desiderio, la tenerezza. Amelio è in guerra con se stesso, nasconde un dolore rimosso e la realtà esterna gli fa da specchio. Tutti noi siamo capaci di offesa e violenza, a noi decidere di esercitarla. In fondo anche il sesso può essere tenero e violento al tempo stesso, e gli amplessi tra Amelio e Elena che leggiamo nel romanzo a volte lo sono. Ho cercato di far corrispondere la progressione degli eventi bellici al crescendo emotivo dei due amanti. In alcuni casi le loro azioni non sono che reazioni di fronte alle notizie, e alcune parole o similitudini che vengo utilizzate per narrare la guerra sono le stesse che descrivono il loro sentire.
Emblematico è l’episodio di Sabra e Chatila a cui Amelio assiste da piccolo
Anche se la guerra è lontana essa agisce su di noi, lascia le sue tracce. Il genocidio di Gaza ha trasformato tutti noi.
- Quando è nata l’idea di scrivere questo libro?
Devo premettere che la prima stesura di questo romanzo risale al 2009-2010, quando anch’io cominciai a soffrire della “Sindrome di Gaza”. Avevamo assistito per lunghi venti giorni all’aggressione dell’esercito israeliano su Gaza, la così detta Operazione Piombo Fuso, che ha avuto luogo dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009. Risultato: 1300 morti. Io ne rimasi sconvolta. Seguivo le vicende della Palestina da anni, avevo letto della Nakba, dell’occupazione, del dilagare delle colonie, ma quell’attacco sanguinoso fu veramente un’offesa troppo grande a qualsiasi senso di umanità, di giustizia, oltre che al Diritto internazionale. Come anche oggi, i giornalisti non potevano entrare nella Striscia. Per fortuna c’era Vittorio Arrigoni che inviava le sue cronache che si concludevano sempre con le parole: Restiamo umani. Ma che cos’è l’umanità?
- Quello a cui stiamo assistendo ora è in una scala ben maggiore di allora: 50-60mila morti, 18 mesi di bombardamenti.
Certo, avrei potuto adattare la prima stesura del romanzo agli eventi attuali, ma ci ho riflettuto e ho ritenuto che invece fosse necessario parlare dei precedenti attacchi, per dimostrare che non è iniziato tutto il 7 ottobre 2023. Da quando Israele si è ritirato da Gaza, nel 2006, la Striscia è stata bombardata praticamente ogni anno con più o meno intensità. Nel 2012, nel 2014, nel maggio 2021 e nel 2023. Oltre all’assedio continuo e sempre più opprimente. Se siamo arrivarti al genocidio è perché Israele è rimasto impunito, ogni volta impunito.
- E come mai il romanzo non è stato pubblicato nel 2010?
Avevo provato allora a presentarlo ad alcune case editrici; il romanzo aveva suscitato qualche interesse, ma poi nessun editore si è preso l’impegno di pubblicarlo. D’altronde, anche ora ho faticato, e non poco. Alcuni editori mi hanno risposto esplicitamente che non volevano esporre la propria casa editrice. Sappiamo che esiste una forma di censura e di autocensura su questi temi. Perciò sono particolarmente grata ad Anita Paolicchi della casa editrice Astarte che non ha esitato un attimo ad accettare il mio manoscritto. Le sono riconoscente altresì per l’accuratezza del editing.
- Tra la prima stesura e quella attuale sono state modificate molte cose?
Sì, molte cose. Intanto, a distanza di 15 anni, sono andata maturando una maggior consapevolezza della scrittura. Nel frattempo, avevo pubblicato un altro romanzo – Ubiquità – e alcuni racconti. Non posso negare che la prima stesura risultasse un po’ cruda, ma proprio per questo è stato interessante riprenderla in mano, lavoraci, e migliorarla non solo stilisticamente. Nel frattempo, infatti, la “Sindrome di Gaza” mi aveva portato ad approfondire ulteriormente la questione palestinese. Per esempio, mi sono recata in Palestina partecipando a dei progetti di protezione internazionale. Nel 2014, nella mia città, insieme a Pina Fioretti abbiamo organizzato la rassegna di Cinema palestinese “Cinema senza Diritti”, oggi alla nona edizione. Il cinema è uno strumento potente di conoscenza e formazione.
Quando l’esercito israeliano ha cominciato a bombardare Gaza in ottobre 2023, sono andata a ripescare il mio manoscritto e mi sono resa conto che la sequenza degli eventi era identica a quella a cui stavamo assistendo: prima attacchi dal cielo, poi invasione da terra, ospedali bombardati, embargo totale di cibo, medicine, e carburante; proteste e manifestazioni in tutto il mondo, silenzio della Comunità Europea, sostegno degli USA a Israele con Obama appena eletto. Stesso copione, stesso orrore. Allora ho capito che il mio testo era ancora valido, che doveva essere letto. Io non posso narrare a nome dei palestinesi, ci sono tantissime autrici e autori palestinesi che scrivono poesie, romanzi, diari, con le loro parole ci raccontano la storia, la sofferenza e la bellezza della loro terra. Io posso parlare solo di noi, noi “occidentali” che dobbiamo scegliere se essere artefici e complici dell’ingiustizia oppure mettere il nostro coraggio al servizio di chi subisce l’oppressione. La Palestina ci chiede di scegliere.
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La redazione di Arabook
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